Leibniz è stato un pensatore straordinario ed eclettico, capace di inventare il calcolo infinitesimale. Ma è stato anche il pioniere della logica matematica, di cui intuì l'importanza prima di tutti gli altri. La dottrina della monade come sostanza individuale va a costituire il cuore della metafisica leibniziana. La monade, allora, è uno specchio vivente e perpetuo dell'universo, poiché essa presenta una prospettiva diversa e unica.
Gottfried Leibniz nacque nel 1646 a Lipsia, da una famiglia dell'alta borghesia cittadina. Il padre era professore di filosofia morale e il figlio, già da giovanissimo, consultava la biblioteca paterna e leggeva opere latine della tradizione patristica e della scolastica. A quindici anni si appassionò alla filosofia moderna: leggeva Bacone, Cartesio, Hobbes, Galilei. A Lipsia studiò filosofia e diritto, a Jena matematica. Terminati gli studi, intraprese la carriera politica: nel 1670 divenne consigliere alla Corte Suprema dell'Elettorato di Magonza. Fondò l'Accademia prussiana delle scienze, il cui scopo non era soltanto il progresso scientifico fine a se stesso, ma anche la crescita economica e industriale del paese. Morì il 14 novembre del 1716.
Leibniz propone una filosofia differente ma non in completa contrapposizione con il meccanicismo. Più specificatamente, il filosofo afferma che il meccanicismo è valido come ipotesi nel campo della fisica ma che, allo stesso tempo, non possa spiegare tutta la realtà. La filosofia leibniziana viene concepita come la scienza dei principi primi delle cose. In questa visione, l'esperienza ha un ruolo provvisorio e parziale e deve essere sostituita con la matematica e la logica, strumenti di ricerca deduttivi.
Leibniz si propone di mettere a punto una specie di lingua filosofica universale, applicabile a tutte le discipline. Essa sarebbe costituita da concetti elementari che vanno combinati in diverso modo, esattamente come l'aritmetica fa con i numeri. In questo modo, l'attività del pensare sarebbe ridotta a un mero calcolo. Da un punto di vista metafisico, però, l'indagine deve approfondire la ricerca dei principi stessi, ovvero andare alla scoperta delle cause delle cose, rendendo conto della loro essenza ed esistenza.
Il principio di ragion sufficiente si applica alle realtà naturali e umane. Esso afferma che di un certo soggetto può essere predicato sia A, sia non A. Ma visto che è accaduto A, dobbiamo individuarne le ragioni contingenti e specifiche. È A (invece che non A) che si deve giustificare. Le verità di fatto riguardano gli eventi e non sono necessarie. Un esempio di verità di fatto, è che Cesare abbia varcato il Rubicone: è successo realmente, ma avrebbe potuto anche non varcarlo. Attraverso l'esplicazione di tale principio, Leibniz arriva a formulare alcune conclusioni.
Un evento che accade, come Cesare che varca il Rubicone, è certo ma non necessario, almeno dal punto di vista umano. Soltanto il punto di vista divino potrebbe conoscere tutte le determinazioni di un individuo (cosa fa, dove si trova, che cosa prova etc.) per cui si potrebbero associare verità di fatto e verità di ragione.
Si identifica Cesare con ciò che ha compiuto nella sua esistenza, nonostante essa sia solo una delle possibili vite che Cesare avrebbe potuto vivere. Ebbene, poiché uno solo dei Cesari possibili ha fatto una sola e precisa cosa in relazione a Roma e al Rubicone, è di questo che si deve trovare la ragion sufficiente. La ragione necessaria di tale evento e di tutta la sequenza di eventi che esso mette in moto è presente solo nella mente divina.
Nel mondo della ragion sufficiente, ogni uomo è in qualche modo un universo a sé, inserito in un reticolo di connessioni che producono il migliore dei mondi possibili. Le azioni di Cesare possono realizzarsi poiché tutte le variabili infinite della sua vita si incastrano in modo coerente con un sistema di relazioni. Ciò è reso possibile dalle infinite potenzialità inespresse di ciascun individuo. Se soltanto uno dei fattori che costituiscono l'evento "Cesare varca il Rubicone" variasse, cambierebbe l'intera scena e non ci si troverebbe più in questo universo ma in un altro di quelli possibili.
L'evento di Adamo che istituisce il peccato originale, ad esempio, non impedisce che sia possibile il suo opposto, ossia che Adamo non peccasse. Non è invece possibile che esista un Adamo non peccatore nel mondo dove Adamo ha peccato. Quindi non possono coesistere tutte le possibilità o anche due possibilità fra loro contraddittorie nello stesso mondo. Per questo motivo, Dio sceglie soltanto una delle infinite possibilità, affinché non vi sia un mondo in cui Adamo contemporaneamente pecca e non pecca.
Il mondo, dunque, è costituito da un'infinità di serie convergenti e ogni sostanza individuale è un mondo a sé (tutti gli Adamo possibili) che concorda con altri individui. Ora, Leibniz non nega che esistano tutte queste possibilità, poiché sono coerenti con l'essenza della natura umana che è mortale. Tuttavia, al filosofo non interessa spiegare le ragioni sufficienti di ciò che è possibile ma solo di ciò che è reale, ossia dell'evento "Cesare varca il Rubicone".
Le monadi, dal greco monás (unità), sono le sostanze più elementari che compongono gli enti e l'universo. A differenza delle sostanze materiali, le monadi non sono divisibili. Esse rappresentano il fondamento immateriale di tutta la realtà: Leibniz le definisce "atomi spirituali" di ogni cosa. Le monadi, essendo immateriali, sono prive di estensione, quindi non possono mutare o corrompersi. Esse devono la loro esistenza e la loro distruzione a un atto di Dio.
Leibniz sostiene che le monadi siano impenetrabili al mondo e, di conseguenza, esse non possono comunicare con esso. Si può immaginare la monade come un mondo chiuso ed estraneo ad un altro. Ogni monade è differente dalle altre, perché in natura non possono esistere due esseri assolutamente identici (principio dell'identità degli indiscernibili). Tra le monadi, dunque, esistono differenze qualitative. Inoltre, le monadi sono soggette a trasformazione ma, essendo impenetrabili, mutano secondo un loro processo interno, chiamato entelechia. Questa capacità interna di azione permette alle monadi di essere attive e percipienti.
La percezione | Indica la capacità di rappresentare il mondo, infatti ogni monade è uno specchio o un punto di vista della realtà. |
L'appercezione | Indica la consapevolezza del percepire. Alcune monadi possiedono memoria e sensibilità (animali) altre anche l'intelletto (umani). Tra le monadi che hanno l'intelletto ci sono le anime e gli spiriti. |
Lo studio delle monadi è chiamato Monadologia. Quest'ultima riesce a rendere conto delle differenze tra i corpi. Ciò che differenzia un corpo dall'altro è l'aggregarsi di monadi diverse, facendo sì che una di queste prevalga sulle altre. Ogni corpo ha un'entelechia o monade dominante, che Leibniz chiama "anima", nel senso di una forza vivente e spirituale. Ogni monade, allora, è uno specchio vivente e perpetuo dell'universo, poiché ognuna presenta una prospettiva diversa e unica. Quindi le monadi si riferiscono sempre a un'unico universo, visto però da differenti punti di vista.
Secondo Leibniz, il corpo non esiste in sé ma è solo un fenomeno, qualcosa che appare, mentre la realtà ultima è costituita dalle monadi immateriali. Leibniz critica fortemente la filosofia cartesiana per aver considerato la materia priva di percezione. Al contrario, secondo Leibniz, ogni essere è animato perché costituito da monadi, che sono strutture percettive e sensibili. Infine, il movimento è il fenomeno della forza intrinseca, dove ciò che resta costante non è la quantità del movimento ma la quantità di energia cinetica.
Materia prima | Rappresenta la forza di inerzia o di resistenza propria della monade. Infatti, la monade ha un limite nel suo essere attiva e percettiva. |
Materia seconda | È costituita dagli aggregati di monadi (uomo, sasso, pianta etc.) soggetti a una entelechia dominante o anima. |
Se le cose sono aggregati di monadi e le monadi non comunicano tra loro, quale relazione sussiste tra anima e corpo? Leibniz presenta la soluzione attraverso la sua teoria dell'armonia prestabilita. Essa afferma che anima e corpo sono due orologi che misurano il tempo ciascuno a proprio modo, ma esiste un Dio orologiaio che ha prestabilito la sincronia tra gli orologi al momento della creazione.
Leibniz scrive i Saggi di teodicea nel 1710, in cui affronta i temi del male e della libertà umana. Se Dio ha scelto il migliore dei mondi possibili, allora perché esiste il male? Dio, risponde Leibniz, ha ritenuto che fosse un bene che esistesse un Giuda traditore. Infatti, il male si inserisce in una catena di eventi che conduce al migliore dei mondi possibili. È soltanto perché il punto di vista umano è parziale che gli eventi appaiono come mali assoluti.
Giuda avrebbe potuto non tradire Gesù, ma Dio inserisce Giuda nella sequenza che prevede il tradimento. A questo punto, se ne potrebbe dedurre che la volontà umana non sia libera ma che sia determinata da ragioni che la precedono, ovvero dalla scelta divina. La libertà per Leibniz consiste nell'intelligenza del proprio agire e non si deve mai intendere in senso assoluto. Allo stesso modo, gli uomini agiscono necessariamente secondo il disegno voluto da Dio. Per questo, pur essendo in teoria possibile che accada il contrario di quello che deve accadere, nei fatti questo non può mai succedere.
Nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, Leibniz prende le distanze dall'empirismo. Secondo gli Empiristi, le idee innate non esistono e tutto ciò che è conoscibile deriva esclusivamente dall'esperienza. Leibniz critica questa posizione, affermando che l'esperienza riguarda l'osservazione di casi particolari in un certo fenomeno e non prende in considerazione tutti i casi che sono avvenuti e che avverranno. Dunque, le leggi che derivano dall'esperienza, secondo Leibniz, sono probabili ma non necessarie. Allo stesso tempo, le verità matematiche sono invece verità di ragione necessarie e indiscutibili. Esse, dato che non si ricavano dall'esperienza, devono derivare dall'interno del nostro intelletto. Tali verità sono presenti fin dalla nascita, anche se non se ne ha consapevolezza.
Leibniz, però, non sostiene l'innatismo assoluto di Cartesio. Infatti, egli sostiene che nella mente esistano soltanto alcune idee innate. Leibniz allora introduce una teoria che viene chiamata innatismo virtuale, secondo cui la mente possiede non conoscenze già definite dalla nascita, ma una predisposizione a plasmare le conoscenze in un certo modo.
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Le realtà naturali e umane.
È un processo di azione interno alla monade che le permette di percepire e di attivarsi.
Mediante un atto di Dio.
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